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L'ARRIVO SUL CAMPO - Di Bronislaw Malinowskij

  • Davide Fassola
  • 15 gen 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

E' celebre l'opera del mostro sacro dell'antropologia: Malinowskij. In particolare, oggi ci occuperemo di una pagina, tratta da 'Gli argonauti del Pacifico occidentale', testo intriso di ironia, in cui si narra del viaggio dello studioso presso la Melanesia, e in particolare alle isole Trobriand. L'antropologo rimane sempre ironico, sembra essere messo a disagio, nel suo momento di arrivo, e permangono anche dopo un senso di spaesamento, di estraneità, ma anche di incertezza e di paura, che mano a mano, va scomparendo. <<Immaginatevi d'un tratto di essere sbarcato insieme a tutto il vostro equipaggiamento solo su una spiaggia tropicale vicino a un villaggio indigeno, mentre la motolancia che vi ci ha portato naviga via e si sottrae ai vostri sguardi. Dopo aver stabilito la vostra dimora nella casa di qualche bianco dei dintorni, commerciante o missionario, non avete altro da fare che cominciare subito il vostro lavoro etnografico. Immaginate ancora di essere un principiante, senza alcuna esperienza precedente, senza niente che vi guidi e nessuno che vi aiuti, perché il bianco è temporaneamente assente o magari non può o non vuole sprecare il suo tempo per voi. Ciò descrive esattamente la prima iniziazione al lavoro sul terreno che ho svolto sulla costa meridionale della Nuova Guinea. Ricordo bene le lunghe visite che facevo ai villaggi durante le prime settimane e il senso di disperazione e di sconforto dopo molti, ostinati ma inutili tentativi che non erano affatto riusciti a farmi entrare in un rapporto autentico con gli indigeni né mi avevano fornito materiale di sorta. Ho avuto dei periodi di scoraggiamento in cui mi sprofondavo nella lettura di romanzi come un altro potrebbe mettersi a bere in un accesso di depressione e di noia tropicale. Immaginatevi quindi mentre fate il vostro primo ingresso nel villaggio, soli o in compagnia del vostro cicerone bianco. Alcuni indigeni vi si affollano intorno, specialmente se sentono odore di tabacco, altri, i più nobili e i più anziani, rimangono seduti dov'erano. Il vostro compagno bianco ha il suo modo abituale di trattare con gli indigeni e non capisce, né lo interessa molto, il modo in cui voi, come etnografo, vorreste entrare in contatto con loro. La nostra visita prima vi lascia con la fiduciosa sensazione che se ritornerete da solo le cose saranno più facili. Questa almeno fu la mia speranza. Ritornai a tempo debito, e presto raccolti intorno a me un uditorio. Un po' di complimenti in pidgin da ambedue le parti e un po' di tabacco che cambiò di mano produssero un'atmosfera di reciproca cordialità. Tentai quindi di passare al lavoro. Innanzitutto, per cominciare con cose che non potessero destar sospetti, iniziai a farmi la tecnologia. Alcuni indigeni erano intenti a fabbricare degli oggetti: fu facile osservarli e ottenere i nomi degli arnesi e anche alcune espressioni tecniche sui procedimenti; ma la cosa si fermò qui. Si deve tenere presente che il pidgin è uno strumento assai imperfetto per esprimere le proprie idee, e che uno prima di essersi allenato a progettare le domande e a capire le risposte, ha la sconfortante sensazione che non arriverà mai a una comunicazione sciolta con gli indigeni. E io ero all'inizio abbastanza incapace di impegnarmi in una conversazione un po' più particolareggiata o più precisa in pidgin. Sapevo bene che il miglior rimedio era quello di raccogliere dati concreti e di conseguenza feci un censimento del villaggio, trascrissi delle genealogie, tracciai delle piante e raccolsi i termini di parentela. Ma tutto questo rimaneva materiale morto che non mi avrebbe portato avanti nella comprensione della vera mentalità degli indigeni e del loro comportamento, perché non potevo né procurarmi un'interpretazione indigena di alcuno di questi dati, né afferrare quello che potrebbe chiamarsi il taglio della vita tribale. In quanto ad ottenere le loro idee sulla religione e sulla magia, le loro credenze sulla stregoneria e sugli spiriti, non veniva fuori nient'altro che pochi superficiali dati di folklore, distorti perché forzati nel pidgin (…). E' molto piacevole avere una base nella casa di un uomo bianco per le provviste e sapere che vi è un rifugio nei momenti in cui degli indigeni se ne ha abbastanza. Ma deve essere sufficientemente lontana da non divenire l'ambiente fisso in cui vivi, e da cui emergi solo ad ore stabilite per farti il villaggio. Non dovrebbe essere nemmeno tanto vicina da correrci ogni momento per rinfrancarti. Poiché l'indigeno non è il compagno naturale per un uomo bianco e dopo che ci hai lavorato insieme per parecchie ore, guardando come si occupa dei suoi giardini, facendolo parlare di questioni di folklore o discutendo delle sue abitudini, bramerai naturalmente la compagnia di uomini della tua stessa specie. Ma se tu sei solo in un villaggio e non puoi raggiungerli, andrai a fare una passeggiata di un'oretta, ritornerai e ricercherai allora la compagnia di un indigeno abbastanza naturalmente, questa volta come conforto alla solitudine, proprio come ricercheresti qualunque altra compagnia. E per mezzo di questo rapporto naturale, imparerai a conoscerlo, e i suoi costumi e le sue credenze ti diventeranno familiari assai meglio che se costui fosse un informatore pagato, e spesso annoiato. Vi è una bella differenza tra uno sporadico tuffo in mezzo alla comunità degli indigeni ad essere effettivamente in contatto con loro. Che cosa significa quest'ultimo caso? Per l'etnografo significa che la sua vita nel villaggio, che è dapprima una strana avventura, a volte spiacevole, a volte profondamente interessante, presto prende un ritmo abbastanza naturale che è in piena armonia con l'ambiente circostante(...). Cominciai ad avere la sensazione di essere veramente in rapporto con gli indigeni: e questa è certamente la condizione preliminare per essere in grado di portare a termine il lavoro sul terreno >>.


 
 
 

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