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Perché la televisione spettacolarizza e rimuove la morte?

<<Alcuni psicologi hanno stimato che, guardando la tv, un bambino assiste in media a 8000 omicidi prima di avere concluso le elementari: una cifra che fa riflettere, perché la violenza e la morte sono onnipresenti nei media? Secondo antropologi e psicologi, nella società contemporanea la morte è diventata un tabù: il sociologo tedesco Norbert Elias (1897-1990) rileva che oggi si cerca di rimuovere la morte dalla scena della vita pubblica. Questa tendenza si manifesta in vari sintomi, tra cui i tabù linguistici (per esempio, 'non è bene' parlare di morte con i bambini). Alla rimozione sociale della morte fa riscontro la sovrabbondanza di immagini e di discorsi legati alla morte sui media. Recenti ricerche evidenziano che la tv rappresenta la morte attraverso forme stilistiche precise, che qui definiamo 'spettacolarizzazione'. E ciò non solo nella fiction, ma anche con le morti reali: ne è stato un esempio tragico l'11 settembre. In generale: La morte è raffigurata come framma: si dà precedenza ai dettagli patetici, di sicura presa emotiva; è una morte 'scenografica': i media comunicano l'evento luttuoso in forme simili a quelle cinematografiche; è una morte 'ipervisibile': c'è la tendenza all'ostentazione dei particolari truculenti. I media filtrano dunque la visione di ciò che nella vita sociale non può più essere osservato direttamente. E poiché la morte oggi è un tabù sociale, la sua esibizione attraverso i media acquista il fascino del proibito. C'è anche un altro aspetto da non sottovalutare. Per lo storico contemporaneo Peppino Ortoleva (1948), i media rimpiazzano gli scomparsi riti di lutto tradizionali proponendo riti sostitutivi, come programmi e film che mostrano esempi 'sani' di reazione alla morte, in cui il decesso è visto come una tragedia, ma anche come momento riflessivo e occasione per riallacciare i legami familiari. I media costituirebbero un immaginario collettivo che ha assunto la funzione di meetavolizzazione e riparazione della perdita dei vecchi riti. Il dolore rappresentato è ben diverso, però, da quello vissuto. Primo, per intensità: il dolore altrui provoca un certo senso di sollievo nello spettatore, perché questi ha la chiara percezione di non esserne coinvolto personalmente. Poi, perchè rappresentare la morte alla stregua di uno spettacolo fa sì che venga percepita come meno reale, e ciò favorisce la presa di distanza da parte del pubblico. Come nota il critico televisivo Aldo Grasso (1948): <<La trasmissione televisiva allontana il dolore poiché, rappresentandolo, lo pone a distanza di palcoscenico>>.>>.


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