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LA PSICANALISI INTERPRETA LA GUERRA - Comportamenti e difese

Vi proponiamo come testo di oggi, un breve articolo di Paolo Crepet, psicologo italiano ed autore contemporaneo. La psicanalisi si propone sempre più, nella storia, un intento di interpretare il tutto. Dunque la guerra non può non essere un oggetto di attenzione della disciplina psicanalitica. Se Freud non arrivò all'analisi della totalità, altri psicanalisti, traendo spunto dalle sue opere, ed utilizzando il suo stesso metodo di ricerca, sono giunti ad alcune conclusioni aggiuntive, arricchendo il lavoro dello psicanalista tedesco. Tra costoro vi è anche Franco Fornari, vissuto nel '900, e perciò testimone oculare della tragedia della seconda guerra mondiale. Ed è proprio in particolare di Fornari che tratta il testo che segue. <<In prospettiva psicoanalitica la guerra è un comportamento messo in atto come difesa rispetto a emozioni collettive terrificanti e insopportabili, anche definite 'fantasmi'. Più specificamente, il gruppo umano proietta all'esterno questo nemico interno invulnerabile, rendendolo con ciò concreto, definito, attaccabile e distruggibile. Tra gli psicoanalisti che si sono occupati della guerra riprendendo e sviluppando le originarie formulazioni di Freud, si distingue Franco Fornari (1921.1985). Già intorno alla metà degli anni Sessanta egli studiò il parallelismo tra la paranoia individuale, un disturbo di personalità e del comportamento, e la guerra. Pi specificamente, così coem la paranoia consente alla persona di proiettare al di fuori di sé, nel delirio di un nemico immaginario, le angosce insopprimibili e non ancora emerse alla coscienza, allo stesso modo la guerra allevia la tensione di angosce profonde appartenenti alla dimensione collettiva riversandole su un oggetto esterno e concreto, un popolo nemico da sfidare e vincere. <<Se si riesce (…) a reperire nel mondo esterno qualcosa di cattivo (nemico) da distruggere>>, sostiene Fornari, <<possiamo rassicurarci sia contro la paura che questo qualcosa di cattivo ci possa fare del male (…) sia contro il pericolo che i nostri attacchi distruttivi si dirigano verso ciò che amiamo (...)>>. Emerge da queste parole la funzione illusoriamente 'rassicurante' della guerra che tuttavia, diversamente dal disturbo di personalità che si manifesta in un delirio persecutorio, ha un fondamento reale e non immaginario. Quando, per esempio, due fazioni non riescono a padroneggiare un conflitto e a innescare mediazioni diplomatiche, scatta il sistema difensivo bellico e ciascuna delle parti, proiettando la colpa all'esterno e attribuendo la responsabilità all'altra, inizia anche a vederla come un nemico da debellare sul campo. Questa azione violenta e concreta non rende immuni dal senso di colpa, sostiene ancora Fornari, ma a bilanciare l'angoscia entrano in scena altre dinamiche. La guerra dischiude un mondo psicologico nuovo in cui 'l'omicidio, il saccheggio, il ratto e lo stupro diventano leciti per un periodo determinato. Da quel momento gli uomini accettano di dare e di ricevere la morte violenta e di cercare di impossessarsi dei beni dell'avversario con la violenza, come di mettere a repentaglio il loro proprio, come se, benché eluso attraverso la proiezione, il sentimento di colpa implicasse tuttavia meccanismi autopunitivi'. Anche in questo caso, l'insieme dei circuiti dinamici di attribuzioni, giustificazioni, punizioni ed esposizione a rischi estremi si pone come illusorio e vano tentativo di sostenere la tragicità degli attacchi e la potente angoscia generata dalle loro incontrollabili conseguenze.


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