EDUCARE IN GIAPPONE, PARTE SECONDA - Le considerazioni di Ruth Benedict
- Davide Fassola
- 20 nov 2017
- Tempo di lettura: 2 min
Questo articolo è da considerarsi la prosecuzione del precedente pubblicato qui sul blog di Help Psicologia, con un brano tratto dal testo di Benedict 'Il crisantemo e la spada'. <<Un popolo così profondamente indulgente verso i bambini è portato a desiderarli e, difatti, i giapponesi desiderano avere dei bambini. Questo atteggiamento, analogamente a quanto avviene per i genitori statunitensi, si spiega prima di tutto col semplice fatto che è un piacere amare un bambino. I giapponesi, però, desiderano avere bambini anchee per altri motivi che negli USA hanno minor peso. I genitori giapponesi hanno bisogno dei bambini non solo perché essi riempiono emotivamente la loro esistenza, ma anche perché il non essere in grado di perpetuare la propria famiglia rappresenterebbe un grave fallimento nella vita di ogni giapponese. Ogni uomo in Giappone deve avere un figlio: ne ha bisogno, dopo la sua morte, per il giornaliero atto di devozione alla sua memoria da compiere davanti all'altare della stanza di soggiorno, di fronte alle lapidi in miniatura; ne ha bisogno per il perpetuare la propria discendenza e per tutelare l'onore e i beni della famiglia. I motivi imposti dalla tradizione sociale fanno sì che un padre abbia bisogno di un figlio, quasi quanto un giovane abbia bisogno di un padre. Sarà il figlio infatti che, in seguito, prenderà il posto del padre e questa sostituzione non è sentita come un fatto lesivo della dignità del padre, ma anzi è qualcosa che gli dà sicurezza. In Giappone quando un maschietto piange la mamma usa dirgli: 'Non sei una bambina', oppure ' Sei un uomo, o ancora' Guarda quel bambino che non piange'. Quando un altro piccolo viene a far visita, la madre in presenza del proprio bambino, si mette a vezzeggiare il piccolo ospite e dice: 'Ho intenzione di adottare questo bambino; desidero proprio un bambino così carino e così bravo. Tu invece non ti comporti come dovresti per la tua età' (…) Talvolta la piccola provocazione psicologica nei confronti del bimbo assume forme diverse. La madre, volgendosi verso il marito, dice al bambino: 'Tuo padre mi piace più di te; lui sì che è un uomo come si deve'. Il piccolo dà pieno sfogo alla sua gelosia e cerca di intromettersi fra il padre e la madre. La mamma allora gli dice: 'Tuo padre non va in giro per la casa gridando e non corre qua e là per le stanze' 'No, no', si difende il bambino 'Non lo farò più neanche io. Adesso che sono buono, mi vuoi bene?'. Quando la scenetta è durata abbastanza, il padre e la madre si guardano e sorridono. Questo è un tipo di atteggiamento che essi possono usare sia per una bambina che per un maschietto. Tutte queste esperienze infantili contribuiscono in modo notevole a far sorgere nel giapponese adulto quel timore del ridicolo e della condanna sociale che è un elemento così tipico della sua mentalità>>.
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