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Sulle Istituzioni Totali

  • Help Psicologia
  • 7 mag 2017
  • Tempo di lettura: 7 min

Sulle istituzioni totali

Introduzione

Quando alcuni individui escludi dalla società si ritrovano nella medesima condizione, quella da loro formata è un'istituzione totale. Erving Goffman, l'autore di “Asylums”, si ritrova, lavorando sul campo, a visitarne diverse, di istituzioni totali; dalle carceri, fino ai luoghi dove si trovano internate persone che non hanno realizzato alcun crimine, come ad esempio negli ospedali psichiatrici.

Egli, dall'interno di questi luoghi, porta a noi una dettagliata descrizione di ciò che realmente accade, umanamente parlando, e al di là delle analisi scientifiche, terapeutiche, e anche morali. Analisi che, comunque, all'interno delle istituzioni vengono effettuate, dato che ha il potere chi controlla la folla degli escludi. Non solo col libro del filosofo canadese si può avere un'idea di quel che davvero succede, ma si mette in esercizio il lettore, che tramite la guida dello scrittore, va a svolgere un lavoro di rovescio delle pretese; ovvero rievoca sociologicamente(Con semplici gesti) la naturale resistenza umana all'oppressione.

  1. Il libro

L'autore, prima di iniziare il suo lavoro, comunica alcune premesse, che voglio comunque riassumere per correttezza. L'interesse nelle istituzioni totali è spostato essenzialmente sull'interpretazione sociologica della struttura del sé. L'opera -Asylums- consta di quattro saggi, e l'attenzione di tutti questi è sulla situazione dell'internato, con il conseguente riscontro di ripetizioni. Tuttavia, ognuna di queste avvicina la questione principale da punti di vista di partenza diversi.

Il lettore- spiega Goffman- potrà risultarne infastidito, ma una possibile giustificazione di tali azioni esiste nel momento in cui in tale modo si segue analiticamente il tema centrale confrontando diverse interpretazioni in uno stesso insieme organico.

Le organizzazioni sociali sono luoghi dove si svolge con regolarità una data attività. Vi si può realizzare un servizio(Nel caso di chi lavori, ad esempio, in un ufficio postale), entrarvi liberamente o ancora in altri luoghi può esser posto un accesso limitato(Solo gli scienziati possono entrare in un laboratorio di chimica). Queste istituzioni si impadroniscono del tempo che le persone sono disposte a dedicare. Tale azione è detta inglobante.

Nella nostra società esistono diversi tipi di istituzioni. Non fanno eccezione le istituzioni totali, che possono essere divise in cinque categorie: protezione di incapaci non pericolosi, tutela di coloro che rappresentano un pericolo pella comunità, protezione della società da pericoli intenzionali(Prigioni, penitenziari, campi di concentramento) istituzioni di piano strumentale(Collegi, campi di lavoro), organizzazioni aliene(Luoghi spesso per religiosi).

Coloro che vengono internati per essere istruiti, presentano la cultura del proprio ambiente. Ma le istituzioni che accolgono chi viene ritenuto “bisognoso” dei loro servizi, non vanno a sostituire la cultura dei loro ospiti. Ogni cambiamento culturale sarà dovuto alla rimozione di possibilità di comportamento, e anche all'estraniamento dal mondo esterno e dai successivi sviluppi che esso ha svolto. Tali avvenimenti rendono comunque evidenti delle barriere col mondo esterno, che provocano perdite e mortificazione. Tale servizio, dunque(Quello offerto dalle istituzioni totali- nega i fondamenti dell'identificazione del sé.

L'ammissione ad una di queste istituzioni è una perdita e un acquisto. Si perde cià che si possiede(Perlopiù nulla di fisico), anche soltanto il non-utilizzo del nome dell'internato significa una riduzione del sé non indifferente. In cambio, si ricevono oggetti e caratteri standardizzati ed uniformemente distribuiti, tutti elementi, dunque, per usare un termine che utilizza anche l'autore, che sono stati del tutto disinfettati e, almeno inizialmente, non possono essere identificati come beni personali, una sorta di regola benedettina(I monaci erano tenuti a cambiare stanza ad intervalli di tempo regolari per non legarsi ad essa).

Ma le proprietà personali hanno comunque rapporto col sé. L'individuo, infatti, così non ha più controllo sul modo in cui apparirà agli occhi degli altri, è privo di un “corredo della propria identità”. Questa, come altre pene che vengono inflitte agli internati, sono vere e proprie umiliazioni. Anche il fatto di dover chiamare un'autorità “signore” addirittura soltanto per semplici richieste è umiliante da parte del detenuto. Spesso chi ivi ha il potere, tende in maniera assai sadica, come spiega Goleman nel suo “Intelligenza sociale”, a punire l'internato attribuendogli espressioni verbali o gesti di dispregio, che, in alcuni casi, vanno addirittura a sostituire il nome del detenuto. Condizione che il regista americano St. Kubrick riesce a rendere magistralmente nel suo “Full metal jacket”: la repressione degli internati e l’incasso continuo della frustrazione generata da tali comportamenti privi di intelligenza sociale genera ulteriore frustrazione, come nel caso della pellicola sopra citata, un desiderio di rivalsa che porta ad un termine degli avvenimenti troppo spesso spiacevole.

Kubrick non fu il primo regista a saper trasporre le condizioni di coloro che si trovano all’interno di istituzioni totali, ne citerò altri nel corso della relazione. Goffman stesso ne cita uno su tutti: il provvidente Goerge Orwell, che nel 1948 scrisse 1984, immaginando un’istituzione- quella del Grande Fratello- estesa a livello mondiale.

Tali processi di mortificazione, evidenti negli internati, generano problemi di carattere generale. Intanto agiscono negativamente(L’autore scrive addirittura”violentano”) sulla considerazione postuma dell’istituzione da parte di colui che vi è stato ospite, il che può essere “cattiva pubblicità” nei momenti in cui il testimone venga intervistato.

Se il comportamento degli internati è considerato negativo(Ovvero l’individuo si dimostra antagonista, indifferente), è un semplice simbolo di autodeterminazione, che, così facendo, biene repressa ed annientata. Kubrick, di nuovo, analizza il problema in “Arancia meccanica”, nel quale di nuovo emergono le frustrazioni, talvolta anche postume di chi esercita l’autorità, e ancora una volta l’ineffabilità estetica dell’istituzione totale, che, nel silenzio delle maschere che nascondono visi addolorati, continuano a mietere vittime.

Ad alcuni e in determinati luoghi, può essere addirittura limitato l’uso del linguaggio, negando, di fatto, quest’azione di distanza e di autodifesa. Il non potere consegnare la propria parola ad alcuno, diminuisce la stabilità degli individui(Non è forse per affidare le proprie parole a qualcuno che le sappia accogliere che le persone si rivolgono alle cure di psicologi e psicoterapeuti?).

Un altro problema di carattere generale oltre ai già citati, è la logica che viene utilizzata nelle affressioni del sé. Tale logica, magari inconsapevolmente, divide gli internati in gruppi; tali gruppi, come detto, hanno già il sé ridotto dalla mortificazione, azione che però si conclude nella successiva auto mortificazione, dalle limitazioni alle punizioni dell’autoflagellazione.

Tutte queste punizioni, spesso, non desiderano essere utili, ma proprio mortificanti: urinare addosso all’internato non ha alcun intento pedagogico. Il completamento del processo mortificante genera un acuto senso di tensione che porta alcuni al suicidio, altri allo stress, che a sua volta provoca disturbi del sonno, o addirittura incapacità di prendere decisioni-

Dunque quali sono gli scopi delle istituzioni totali? Raggiungimento di mete economiche, educazione, addestramento, trattamento medico e psichiatrico, purificazione religiosa, protezione della comunità. Di fatto, tuttavia e come dimostrato, i risultati sembrerebbero essere ben altri.

  1. LA PAZZA DELLA PORTA AFFIANCO

Una grande poetessa milanese, Alda Merini, è pazza, ed è ben contenta di esserlo. Nel suo libro “La pazza della porta affianco”, racconta della sua esperienza di detenzione nell’ospedale psichiatrico.

La merini spiega che tale mondo è stato di fondamentale importanza per lo stilo delle sue poesie e che in generale all’interno dello stesso ha ritrovato diversi elementi che ha ritenuto- senza pensarci due volte- interessanti ed utili. Infatti, talvolta, suo marito- di ritorno a casa- non la ritrovava: lei stessa si era fatta rinchiudere nella sua istituzione totale, alla quale si era oramai affezionata. Tuttavia, in tutto ciò, lei riconosce che le sono stati negati alcuni diritti, e non ha potuto dare sfoggio della propria persona. Alla domanda: “Ritiene utile l’attività che si svolge negli ospedali psichiatrici?” Lei risponde che indubbiamente sì, al mondo d’oggi le cose non funzionano così male, ma vi è ancora molto da fare per un corretto funzionamento delle strutture.

Per adoperare la poesia- spiega lei- è necessario essere pazzi. Il padre della merini probabilmente la desiderava sana, infatti tentò di scoraggiarla nel suo mestiere di poetessa, più avanti Alda commenterà: “Papà aveva ragione”.

Molti poeti e scrittori si dichiararono pazzi, come Edgar Allan Poe(“I became insane with long periods of horrible sanity”), ma mai e poi mai sarebbero voluti finire internati in un ospedale psichiatrico, e Poe non ha timore di annoverarlo tra le sue paure, il ricovero.

Oggi, tuttavia, mi è capitato di conoscere una ragazza che, invece, è soddisfatta delle cure, e, anzi, vorrebbe vivere in clinica per sempre. Anche Goleman, in alcuni dei paesi degli Stati Uniti sonda segnali di chiaro miglioramento delle condizioni delle strutture totalizzanti. Un segno che fa ben sperare.

  1. LO SQUALIFICATO

Un dubbio, in me, sorge spontaneo: esistono persone totalmente estraniate dalla società senza essere stati sottoposti al plutonico controllo di un istituzione totale?

La risposta sembrerebbe avermela data lo scrittore giapponese Dazai Osamu(1909-1949) che scrive “Lo squalificato”, opera in gran parte autobiografica. Le disavventure di un uomo di intelligenza superiore alla media, che crescendo, si ritrova ad avere un incontro-scontro con alcuni aspetti della cultura giapponese dei suoi tempi sono il tema del romanzo. L’uomo è appunto uno “squalificato”, in quanto non riesce ad individuarsi nella società e nel tempo in cui vive, per quante ne abbia provate.

Dunque la risposta è sì: gli squalificati esistono anche all’esterno di un istituzione totalizzante, e si creano per semplice effetto dell’esistenza della società stessa.

  1. LA PAZZA GIOIA

Quest’anno ho avuto l’opportunità di visionare al cinema la nuovissima pellicola del regista italiano Paolo Virzì, “La pazza gioia”.

E’ la storia di due “matte”, ospiti di una comunità di recupero dato che loro non sono in grado di badare a loro stesse. Sebbene la libertà che viene loro concessa effettivamente esiste e non è poca, un giorno le due donne, completamente differenti l’una dall’altra, scappano assieme e ripercorrono la loro vita, ed essendo ricercate sfuggono anche ai loro responsabili. Un giorno le due litigano ed è l’inizio della fine. Al termine una delle due donne fa ritorno alla comunità che si prende cura di lei, l’altra fa capolinea in una specie di ospedale psichiatrico, abbandonata dai genitori e senza che altri potessero avere un qualche potere su di lei.

Per alcuni errori passati ora lei sconterò una pena, lunga anni, il tutto per decisioni istituzionali. Il film. Chiara critica agli ospedali psichiatrici ed interessante analisi di tutte le figure che possono essere parte integrante di casi simili- termina facendo sapere allo spettatore che finalmente, ora, da alcuni anni, quel tipo di ospedale è stato definitivamente chiuso. Dunque gli istituti di cura in comunità che esistono ora sono decisamente più corretti e causano meno danni all’internato.

In attesa di ulteriori miglioramenti, bisogna riconoscere che i risultati raggiunti sono indubbiamente apprezzabili.

  1. CONCLUSIONI

Alcune istituzioni nascono col compiti di aiutare, provocando invece effetti opposti, talvolta a danno addirittura della società stessa, in un sistema che davvero non giova a nessuno.

Goffman è morto nel 1982, da allora fortunatamente molte cose sono cambiate, e negli Stati Uniti si deve fare ancora molto, così come in altri paesi tuttora sottosviluppati, che non possono assicurare le doverose cure a chi ne necessiti.

Alberto Moravia, nella sua fondamentale opera di contributo all’antifascismo, “La ciociara”, scrive:

“E io tante volte ho pensato che un uomo va trattato come un uomo e non come una bestia e trattare un uomo come un uomo significa farlo star pulito, in una casa pulita, mostrare simpatia e considerazione per lui e soprattutto dargli delle speranze per l’avvenire. Se questo non si fa, l’uomo, che è capace di tutto, non ci mette niente a diventare una bestia e allora si comporta come una bestia ed è inutile chiedergli di comportarsi come un uomo dal momento che si è voluto che fosse bestia e non uomo”

Qualunque cosa si faccia, credo che basti davvero non violare queste poche parole di buon senso per ottenere risultati soddisfacenti.


 
 
 

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